La rivoluzione “intelligente” del design per l'industria 5.0
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Comprendere le interazioni umane tenendo a mente la sicurezza, la responsabilità e le dinamiche di gruppo. Da questi presupposti oggi il design riparte per provare a delineare i requisiti della relazione uomo-macchina, partendo da interazioni ben progettate e da un approccio olistico e multidisciplinare. Perché la nuova “robotica 5.0” oggi vuole entrare nell’industria in punta di piedi per portare una rivoluzione senza precedenti: ridare una nuova dignità ai robot, che non sono più solo chiamati a lavorare, ma devono anche creare valore, infondere fiducia ed essere credibili nel loro contesto operativo. Ne abbiamo parlato con Peter Newbould, Partner, Innovation and Strategy di Design Group Italia, elemento di Alkemy.
Il mondo è cambiato. Sono cambiate le esigenze, sempre più articolate e interconnesse, e con esse anche il mondo dell’industria, chiamato a una sfida senza precedenti: mettere da parte le conoscenze verticali e settoriali per un approccio sempre più multidisciplinare.
“L’idea di competenze e professioni organizzate in compartimenti stagni è una visione piuttosto antiquata e strettamente legata al modello della rivoluzione industriale, quando per raggiungere la massima performance ogni singolo attore doveva ripetere il proprio compito in modo automatico e ripetitivo. Ora è sempre più forte il bisogno di far incontrare il design con la politica, la sostenibilità, la tecnologia. Il design sta attraversando una fase di grandi trasformazioni, e abbiamo sempre più bisogno di prospettive ampie e pensatori “integrati” che possano risolvere problemi complessi”, spiega Peter Newbould, Partner di Design Group Italia.
I robot che vanno oltre la pura automazione dei processi devono essere in grado di navigare in sistemi umani complessi ed organizzazioni umane complesse, dove le interazioni bidirezionali con gli esseri umani saranno parte del loro lavoro.
Cosa è cambiato nell’approccio al design?
Oggi i brief dei clienti non sono più così chiari. Le aziende non arrivano con richieste mirate ma portando intuizioni o sfide che pensano possano essere risolte ricorrendo a un approccio orientato al design, e questo è ancora più vero nel settore digitale. Quando progettiamo prodotti digitali per un cliente, dobbiamo spesso addentrarci nell'intricato funzionamento delle operazioni aziendali: è necessario mappare le complesse interconnessioni tra persone e dati, bisogna fare emergere e stabilire il senso di quello che spesso è un processo sotteso. Analisti aziendali, change managers, consulenti aziendali, psicologi, data scientists, esperti di Human machine interaction, ergonomisti, brand managers e sviluppatori di sistema devono collaborare con il designer che metterà insieme questo mix di input e opinioni per generare idee e rendere possibili soluzioni concrete, in grado di stimolare il dialogo e a allineare tutte le parti: clienti, dipendenti, utilizzatori.
Qual è il processo che coinvolge tutto il digital design, dal concept alla realizzazione di un'interfaccia tecnologica come un robot? Quali sono i momenti più strategici e quelli più critici di questo “design journey”?
Spesso oggi quando parliamo di robot, non intendiamo solo “macchine” che svolgono semplicemente compiti di automazione, ad esempio attività di pick and place su una linea di produzione. Parliamo di robot che sono co-bot complessi che mirano a supportare il personale e i team di lavoro nel mantenimento delle operazioni industriali: manutenzione, controllo qualità, monitoraggio della pianificazione, trasferimento dati, micrologistica, ecc. Questi compiti richiedono delle capacità e delle interfacce che consentano al robot di diventare quasi parte del team, svolgendo attività regolari e spesso ad hoc nella quotidianità delle operazioni industriali.
Come inizia tutto questo processo?
Prima di tutto con l’approfondimento di un’ampia gamma di contesti industriali, con l’obiettivo di identificare opportunità e contesti generalizzati in cui un robot potrebbe portare valore supportando compiti spesso affidati alle persone. Identificando i principali casi d’uso e mappando i processi dal loro interno, è possibile iniziare a sviluppare una serie di requisiti per il robot che si intende progettare.
È necessario comprendere le interazioni umane, toccando temi quali sicurezza, responsabilità e dinamiche di gruppo, in modo da provare a delineare i requisiti dalla prospettiva della relazione uomo-robot (HRI, Human-Robot-Interaction, ndr), in una sovrapposizione tra design e psicologia.
E questo cosa comporta?
La definizione delle capacità che il robot deve avere e la mappatura dei comportamenti e caratteristiche delle relazioni umane sta già permettendo di avviare un processo di progettazione creativa dove industrial designers, UX designers, service designers, progettisti HRI e ingegneri lavorano insieme per generare idee e design concepts.
Può davvero il design facilitare l’interazione uomo-macchina? Come?
Sia la progettazione fisica che quella digitale devono essere considerate in modo tale da consentire al robot di comportarsi correttamente nello svolgimento del proprio lavoro che sarà facilitato se le interazioni con l’operatore umano saranno positive. La relazione robot-uomo dipende da interazioni ben progettate, delegare al robot dev’essere facile. Il robot non solo deve lavorare, deve anche creare valore, infondere fiducia, essere credibile nel suo contesto operativo. I robot che vanno oltre la pura automazione dei processi devono essere in grado di navigare in sistemi umani complessi ed organizzazioni umane complesse, dove le interazioni bidirezionali con gli esseri umani saranno parte del loro lavoro.
Forse un giorno l’intelligenza artificiale presente nei robot imparerà da sola a interagire con gli esseri umani, ma fino ad allora le piattaforme esistenti, anche open source, sono la base per la fattibilità tecnica. Partendo da questa base, designer, ingegneri e psicologi possono progettare insieme un oggetto di design integrato, funzionale e interattivo che sia adatto allo scopo e ben accetto dalle persone che vi lavoreranno insieme. Con questo presupposto il robot potrà davvero risolvere problemi e guadagnarsi il consenso degli umani con cui interagirà.
Come coniugare estetica e funzionalità e, al tempo stesso, far convergere grazie al design la componente digitale e quella fisica di un prodotto?
Penso che il digitale sia per il 99% intelligenza dietro le quinte e per l'1% interazione digitale, ovvero raccolta di informazioni bidirezionali da fotocamere, sensori, tastiere, suoni, ecc. Se pensiamo ai nostri laptop c'è molto di più dietro le quinte che sullo schermo.
Il robot, tuttavia, necessita di un design fisico che gli permetta di svolgere determinate funzioni predefinite e anche di avere un’estetica che si adatti al contesto, comunicando i valori corretti. Con il suo aspetto il robot deve invogliare gli operatori umani a interagirvi con sicurezza e, per farlo, ha bisogno degli elementi di HMI fisici necessari a facilitare queste interazioni, come tastiere, schermi, pulsanti, mouse, luci e suoni. Ciò implica che lo UX-UI designer deve essere in grado di lavorare con questi elementi di HMI fisica e digitale per arrivare a fornire i corrispondenti servizi digitali a coloro che interagiranno con il robot.
Quanto è importante che il designer e il team di sviluppo lavorino a quattro mani per tutto il processo creativo?
È fondamentale, ma è anche importante che ciascun team assuma la guida del processo creativo secondo i suoi step. Gli ingegneri aiuteranno a definire i presupposti tecnici alla base del robot, definendo cosa è fattibile e cosa non rientra nei limiti delle capacità dell'azienda, dei costi del prodotto e dei vincoli di budget di ricerca e sviluppo. I designer, invece, dovranno definire con precisione la forma e le funzioni del robot secondo il suo target e il contesto applicativo. Lo faranno sfidando il team di sviluppo, proponendo concetti e idee creative che mettano in discussione i presupposti tecnici iniziali.
Poiché i robot industriali "non di automazione" fanno parte di un mercato relativamente nuovo, con limitati parametri di riferimento e indicatori di successo disponibili, è importante che designer e ingegneri lavorino insieme e accettino di essere pionieri del mercato in condizioni imperfette.
Come è possibile oggi nel design industriale prevedere in maniera nativa non solo la “classica” scalabilità di una soluzione, ma piuttosto anche una sua naturale evoluzione sotto tanti aspetti, compreso il possibile mutare delle esigenze nel tempo?
L’innovazione accelera a ritmo continuo, generando quella che potremmo definire quasi una “continuous creative destruction”. Lanciare un nuovo prodotto oggi, in un mercato immaturo, comporta una crescente quantità di rischi. C’è sempre il rischio che l’arrivo di una nuova tecnologia orienti il mercato in una direzione diversa rispetto a quella prevista. I prodotti devono essere progettati tenendo conto dei cambiamenti del mercato e prevedendo la capacità di adattarsi ad essi, evitando il rischio di una obsolescenza rapida e accelerata.
Quali sono oggi le vere sfide del design applicato alla robotica?
I robot, e più in generale il mondo dell'automazione sono abbastanza saturi, e la tecnologia è limitata agli inizi. Nel campo industriale i robot devono essere integrati in un ambiente ancora troppo poco strutturato da un punto di vista digitale, e questo costituisce una sfida senza precedenti. La vera sfida, però, è trovare un equilibrio tra ciò che il robot può fare e il valore che può fornire per giustificare la sua esistenza. Gli esseri umani sono altamente adattabili, ma come si può progettare l'adattabilità per un robot? E, soprattutto, come possiamo far sì che la tecnologia possa essere “empatica”? Il robot intelligente del futuro dovrà essere sempre più “empatico”, ossia dovrà imparare a riconoscere un problema o una sfida, prima che su questo venga istruito da un essere umano.
In Design Group Italia dal 2003, Peter Newbould usa le sue capacità analitiche, tecniche e le sue visioni innovative combinandole in un approccio human- centred verso lo sviluppo l’eccellenza dei servizi. Ha seguito aziende del calibro di PepsiCo, ABB, Unilever, 3M e Janssen nei loro processi di digital transformation e nella transizione del business di prodotto a quello dei a servizi. Ha studiato Ingegneria Meccanica e Management all’Università di Birmingham, Industrial Design Engineering al Royal College of Art di Londra e ha conseguito il Global Executive MBA SDA Bocconi di Milano.